Simone, Edith e l'emigrazione di oggi.
Mi chiama Simone: "ho trovato lavoro!"
La voce gli squilla più del telefono stesso.
Simone è qui in Germania da un anno. Ci siamo conosciuti sui social network attraverso amici
in comune. Quando è arrivato non parlava che poche parole di tedesco. Aveva qualche
risparmio e avrebbe speso tutti i soldi per pagarsi un ostello, finché non avesse trovato
qualcosa - un lavoretto, una stanza decente...
Simone in un anno ha lavorato per grandi aziende e piccoli ristoratori. In regola per i primi, in
prova senza contratto ma con grandi promesse - mai mantenute - presso eleganti ristoranti
italiani. "Non voglio più avere a che fare con il mondo della ristorazione", dice.
I pochi mesi in regola gli consentono di avere accesso all'aiuto del Jobcenter: nemmeno
mezza millata di euro per vivere, più l'affitto in una stanza presso una WG solo un pelo più
accogliente dell'ostello con un contratto che lo lega per anni (questo lo sostiene il padrone di
casa). E la copertura sanitaria. Più un contributo mensile per l'Integrationskurs e, quindi,
imparare il tedesco. E dopo tanto cercare, finalmente un lavoro nella logistica. Anzi, il lavoro:
era proprio il posto che sperava di trovare.
Mi commuovo per Simone, gli faccio tanti in bocca al lupo. Mi ringrazia per averlo aiutato,
ma il mio ruolo è stato minimo.
Simone ha avuto fortuna. Non è finito subito dal ristoratore dalle mille promesse. Quando la
grande azienda lo cacciò, lo fece in base alle regole, rispettando anche cne i tempi che la
legge stabilisce. Grazie a ciò Simone ha potuto dimostrare, carte alle mano, quello che è
venuto a fare qui: cercarsi un lavoro, imparare la lingua e poi stabilirsi qui. E il Jobcenter lo
certifca: Simone NON è un "Sozialturist".
La storia di Simone insegna diverse cose. A spiegarmelo è un articolo di Edith Pichler
apparso quest'anno sul numero 50 di "Altreitalie" (1).
Intanto Simone non è da solo. D'accordo, bella scoperta: quanti nostri connazionali
conosciamo che stanno arrivando in questi anni in Germania? Già, quanti? Secondo il
rapporto 2014 del Bundesamt für Migration und Flüchtlinge sono stati quasi 37mila nel 2012
e più di 47mila l'anno successivo. Solo dall'Est EU sono venuti più cittadini e cittadine in
Germania: da Polonia, Romania, Ungheria e Bulgaria. Sono arrivati più italiani e italiane che
da tutti gli altri paesi UE "dell'area mediterranea" come Spagna, Portogallo e Grecia. Di
rispetto anche a cittadini russi.
Simone ha un diploma di maturità e in Italia era quel che si dice un impiegato di concetto - il
che non bastava per arrivare a fine mese, quello era il problema. Simone quindi non è
"manodopera squalificata". Eppure in Germania ha dovuto dimostrare che non è un "turista
dello stato sociale". Perché sì, l'ufficio di collocamento tedesco lo aiuta, ma lo fa
richiedendo sempre più giustificazioni, documenti. Perché lo fanno? Perché alcune forze
politiche e alcuni gruppi di opinione stanno sfruttando l'arrivo di un gran numero di emigrati
europei per farsi propaganda - non stiamo parlando di profughi. Un concetto chiave di questa
propaganda è "vengono qua per vivere a spese dei contribuenti tedeschi".
Non abbiamo letto forse accuse del genere sui social network, rivolte da alcuni nostri
connazionali qui da anni ai "nuovi arrivati"? Bene, nel suo articolo Edith Pichler riporta le
accese discussioni che simili affermazioni stanno scatenando non solo sui media, ma anche tra
studiosi e "parti sociali" come i sindacati, e l'equivalente tedesco della Confindustria. Mentre
si dibatte, però, il sistema di collocamento già mette in atto controlli più severi e regole più
restrittive: nessun sostegno a chi non è in Germania da almeno tre mesi. Non abbiamo letto
ragionamenti simili anche da parte del governo Cameron in Gran Bretagna? Ma per restare in
terra tedesca: non stupiamoci troppo, non pensiamo sia proprio in caso. La CSU, partito
radicato in Baviera, è uno di quei movimenti che diffondono idee simili. Ma è anche una
componente dell'attuale maggioranza di governo tedesca. Che succederebbe se della stessa
maggioranza non facessero parte anche i socialdemocratici della SPD, parte del Partito
Socialista Europeo?
Non mi sono dimenticato di Simone: è diplomato ma non laureato. Anche se ha una
quarantina d'anni, non è quindi parte della "generazione Erasmus". Ma non è nemmeno
venuto qui "con la valigia di cartone". Non lo cercano le fabbriche tedesche, che ora lo
assumerebbero solo se avesse compiuto una formazione professionale che in Italia non
avrebbe mai potuto trovare. E poi, come riporta Edith Pichler, "a differenza del passato
non è più l’industria che occupa i nuovi arrivati: nella società postindustriale si è
confrontati con un incremento nel settore dei servizi con mansioni molto qualificate,
ma anche molto generiche, così suddivise:
a. primario (trasporti e comunicazioni; servizi commerciali; gastronomia, turismo, ospitalità;
servizi assicurativi e bancari; pulizie, vigilanza)
b. secondario (servizi avanzati, come fornitura di attrezzature, macchinari e beni,
informatica, ricerca e sviluppo, consulenza legale, fiscale e tecnica, analisi e collaudi,
formazione, marketing, salute e sociale." (2)
Ecco, la storia di Simone e l'articolo di Pichler a me insegnano diverse cose. Intanto, che se da
Italiani in Germania continuiamo a far finta che la politica tedesca non ci tocchi, sarà anche
grazie alla nostra indifferenza che prevarranno posizioni sempre più estreme, sempre più
lontane da ogni idea di accoglienza e integrazione.
E poi c'è una brutta notizia per tanti. L'attuale emigrazione non è "valige di cartone".
Nemmeno "cervelli in fuga" o "generazione Erasmus". È qualcosa che sfugge quelle categorie
di interpretazione. Di fatto è sorpassato chi ragiona così, questa è la brutta notizia.
Poi ci sono un paio di buone notizie. Edith è iscritta al PD Germania ed è da poco anche stata
eletta nel CGIE, l'assemblea che raccorda le realtà dell'associazionismo italiano nel mondo
con il Ministero degli Esteri (buon lavoro!). Simone, poi, ha votato 5 Stelle alle ultime
elezioni alle quali ha partecipato. "Ma certo, se avessi davanti uno come te, che si impegna e
lo fa con onestà..."
Ecco, amici e amiche del PD Germania: c'è qualcuno che ancora è diffidente verso la SPD?
C'è qualcuno che pensa di poter restare indifferente di fronte a cosa stanno combinando alcuni
nostri connazionali nei confronti di chi arriva? C'è qualcuno che sostiene ancora che "solo chi
lavora in fabbrica è 'dei nostri'", meglio se arrivato "con la valigia di cartone"? C'è qualcuno
che pensa che "gli altri" sono intellettuali idealisti perché hanno una laurea? Perché se non ascoltiamo i nostri stessi iscritti e se vogliamo
continuare a guardare "ai nostri", allora il PD non sarà che una realtà marginale in Germania.
Nonostante al suo interno ci siano competenze e, all'esterno, ci si chieda di rinnovarci.
In bocca al lupo, Simone! In bocca al lupo, Edith! In bocca al lupo, PD Germania!
NOTE
(1)
-> Una presentazione di Edith Pichler la si trova qui:
http://www.uni-potsdam.de/u/allg_soziologie/Pichler%20Pub.html
-> Il suo articolo sul numero 50 di Altreitalie si trova qui, ma purtroppo è a pagamento (se vi interessa contattatemi via mail all'indirizzo flavio.venturelli@gmail.com):
http://www.altreitalie.it/Pubblicazioni/Rivista/N-50/Acquista-Il-Numero-Completo-In-Digitale/Altreitalie-50.kl
-> Un articolo libero, in tedesco, della stessa autrice lo trovate qui:
https://heimatkunde.boell.de/2013/05/18/von-arbeitssuchenden-empoerten-und-kreativem-prekariat-die-neue-italienische-einwanderung
(2)
Edith Pichler, Germania e nuova immigrazione Europea. Il dibattito fra bisogni del mercato del lavoro, «aggravio sociale» e Willkommenskultur, Altreitalie, nr. 50